Quei momenti

C’erano quei momenti in cui, seduto in silenzio in poltrona con un buon libro e un bicchiere di ottimo vino elfico, ringraziava Merlino e Salazar per la tranquillità che gli era stata concessa, ma c’erano anche dei momenti in cui si svegliava ansimante durante la notte, cercando febbrilmente qualcuno con lo sguardo e maledicendosi per non essersi stancato tanto da riuscire a non pensare.


[I have to find the will to carry on. (Show must go on)]



Severus Piton aveva un problema serio. Non uno di quelli che attanagliavano le persone comuni, nessun litigio con gli amici, né problemi ad orientarsi dopo aver passato una serata a bere al Pub, né tanto meno era in ansia per dover comprare il regalo perfetto alla suo dolce metà, ammesso che si fosse ricordato di un qualche anniversario. Il problema di Severus Piton non era così banale: innanzitutto perché non c’erano amici con cui litigare e ubriacarsi, né dolci metà a cui comprare un regalo per un qualche anniversario, in secondo luogo perché il suo problema era di un tipo particolare, che i filosofi Babbani avevano chiamato, all’epoca, esistenziale: il problema era la sua vita e il fatto che fosse completamente vuota.

Non che andasse in giro a cercare avventure, quella era una prerogativa dei Grifondoro, ma tutti i suoi giorni si susseguivano lentamente, ognuno esattamente uguale a quello precedente se non fosse stato per qualche rara, nuova, sperimentazione con le pozioni.


C’erano quei momenti in cui, seduto in silenzio in poltrona con un buon libro e un bicchiere di ottimo vino elfico, ringraziava Merlino e Salazar per la tranquillità che gli era stata concessa, ma c’erano anche dei momenti in cui si svegliava ansimante durante la notte, cercando febbrilmente qualcuno con lo sguardo e maledicendosi per non essersi stancato tanto da riuscire a non pensare.


E poi c’erano gli ultimi momenti, i peggiori, quelli che erano iniziati quando Harry Potter aveva varcato la soglia della Sala Grande cinque anni prima e aveva incrociato lo sguardo con il suo, ricordandogli di una Lily persa per sempre e dei suoi occhi incastonati in un James Potter più basso e magro.

Durante tutto il primo anno era riuscito a indulgere in un’immagine pura della donna che amava, un riflesso incontaminato del passato e del futuro in cui lei gli sorrideva ancora. Sfruttando lo Specchio delle Brame aveva avuto un’immagine che non era stata strappata da un album di foto trovato per caso, aveva avuto la possibilità di rivedere Lily che sorrideva proprio a lui e non a un fotografo improvvisato. In quell’ anno si era preso l’unico sostegno che gli era concesso, inconsapevolmente e indirettamente, da Silente.

Quando, alla fine di quel maledetto primo periodo, il Moccioso - Che - Era - Sopravvissuto lo aveva fatto privare anche di quell’ ultimo appoggio il suo problema si era ingrandito e, solo due anni prima, la sua vita era nuovamente precipitata in un baratro: Silente l’aveva mandato in pasto al Signore Oscuro come spia non appena Potter e Barty Crouch avevano riportato l’avvenimento della sua resurrezione. Potter, di nuovo. Sembrava che il figlio di Lily fosse nato solo per impedirgli di avere un po’ sollievo, ogni volta che trovava uno spiraglio di luce nella sua vita grigia era sempre lì, pronto a coprirlo con una qualche azione che lo avrebbe ricacciato nel buio della sua esistenza. Ma ancora la promessa fatta a Lily bastava a farlo continuare, i suoi giorni scorrevano sempre uguali, oscillando tra la noia e il dolore e la frustrazione di non riuscire ad anticipare tutti i guai in cui si cacciava il ragazzo, ma continuava ad andare avanti.

Il colpo di grazia venne da qualcuno che, ingenuamente, non si aspettava. Quando Albus lo convocò una sera durante il sesto anno di Potter ordinandogli il suo assassinio, Severus si ritrovò a ringraziare mentalmente Potter per avergli fatto conoscere la Stanza delle Necessità. La maggior parte delle persone che sapevano della sua esistenza ci erano incappate per caso, e nemmeno sapevano ritrovarla perché non avevano idea di cosa desideravano; Severus lo sapeva, e non ne aveva mai avuto un disperato bisogno come quando era uscito dall’ufficio del Preside.

Arrivato al settimo piano passò tre volte davanti al luogo in cui sarebbe dovuta apparire la pesante porta di legno, nella testa il pensiero che si ripeteva come un mantra e sulle labbra fini un unico sussurro:

“Devo trovare il motivo per andare avanti”.

Era in quei momenti in cui si rendeva consapevole di ciò che cercava così disperatamente che quel baratro che era sua vita si faceva ancora più nero e profondo, e lui si accorgeva di star camminando al limite per cercare di non perdercisi dentro.