Calzini di lana

Il giovane Albus Silente è abbattuto: sua sorella ha avuto una crisi, lui ha litigato con Aberforth e, come se non bastasse, una capra si è mangiata i suoi calzini di lana. Come farà Gellert, il suo amato inconsapevole, a risolvere la situazione?


Quella mattina il giovane Albus Silente era di pessimo umore.
Non che in genere fosse particolarmente gioviale, rifletté Gellert Grindelwald, scrutando preoccupato il cipiglio affranto sul volto dell’amico. La sua particolare situazione familiare, che lo costringeva in casa a badare ad una sorella problematica e ad un fratello quantomeno strano, era spesso motivo di afflizione per il mago più piccolo. Il suo potere e le sue conoscenze erano talmente avanzate che gli avrebbero permesso in qualunque momento volesse di imporre la sua presenza sul mondo, di diventare qualcuno, e invece eccolo lì, a rimuginare su di un passato sfortunato, un presente deludente ed un futuro sfortunatamente anonimo.
Appoggiandogli una mano sulla spalla, Grindelwald attirò la sua attenzione e gli sorrise mestamente.
“Cosa ti turba, amico mio? Nemmeno oggi, alla vigilia di Natale, puoi essere più lieto?”
A quel gesto, Albus si riscosse dai suoi pensieri e pacatamente raggiunse la mano di Gellert con la propria, stringendola piano in un cerca di conforto.
”Sto bene”, mormorò esitante, quasi per assicurarsi che l’altro non credesse alle sue parole.
Grindelwald sorrise, riconoscendo l’espressione che l’amico, solitamente, tratteneva qualche istante sul volto prima di confidarsi con lui in un incessante fiume di parole, stringendogli le mani come a voler sfogare la sua rabbia in quella presa forte ed occasionalmente dolorosa. Si sedette dunque accanto a lui e seguì con gli occhi la direzione del suo sguardo, incontrando la vista di una capra che brucava pacifica poco più in là.
La fissò silenziosamente per qualche istante, prima che l’altro cominciasse a parlare.
“Quello stronza mi ha mangiato i calzini”, borbottò.
Gellert trattenne a fatica un eccesso di risa, nonostante la frase dell’amico lo giustificasse pienamente, ed attese pazientemente che Albus riprendesse il discorso.
“Ariana ha avuto un’altra crisi stamattina. Avevo appena finito di sgridare Aberforth perché continua a portare capre in camera nostra... Lui ha dato la colpa a me, ha detto che l’avevo fatta agitare con le mie urla. Temo avesse ragione. Abbiamo tentato di calmarla, dopo mezz’ora è crollata addormentata e Aberforth ha ricominciato ad inveire contro di me. Sono corso a chiudermi in camera per non sentirlo più e, a coronare la bellissima esperienza, c’era quella bestia che brucava pacifica nel mio cassetto della biancheria”.
“E ti ha mangiato i calzini”, concluse Gellert con uno sguardo comprensivo al volto dell’amico. Così giovane, così fragile, e così tanti pesi sulle spalle... Grindelwald, al suo posto, non ce l’avrebbe mai fatta, avrebbe già abbandonato egoisticamente tutti per il proprio bene. Ma in fondo, era anche per questo che Albus era così straordinario.
“Erano i miei calzini preferiti”, brontolò quello innervosito, passandosi una mano sulla barba che da poco aveva iniziato a farsi crescere. “Di lana, sai. Perfetti per la stagione”. Sospirò piano, guardando Gellert negli occhi. “Temo di averli persi per sempre, ormai”, mormorò, e l’amico sapeva che non stava parlando dei calzini.
Sospirando, lo abbracciò. Non sapeva in che altro modo confortarlo, perché le parole che gli venivano spontanee avrebbero sortito l’effetto opposto.
Avrebbe voluto dirgli che due fratelli così erano solo un peso, che era meglio perderli che trovarli.
Avrebbe voluto dirgli che se li avesse persi sarebbe stato libero, libero di andare con lui e fare quello per cui era venuto al mondo.
Avrebbe voluto dirgli che non aveva bisogno di loro e che avrebbe dovuto abbandonarli.
Da parte sua, Albus avrebbe voluto dirgli che lo amava, e che ad un suo ordine sarebbe partito con lui lasciando tutto e tutti alle spalle.
Invece entrambi rimasero in silenzio, avvolti in quell’abbraccio che sapeva di tante cose taciute.



La mattina dopo era Natale. Albus trovò tre pacchetti abbandonati ai piedi del letto. Sospirando li scartò, certo che nulla di quello che vi avrebbe trovato avrebbe potuto migliorare il suo umore.
Scoprì di sbagliarsi.
Il primo pacchetto conteneva un libro pieno di disegni fatti da Ariana. Sorridendo sfogliò le pagine ricche di eventi sperati e raramente avvenuti. Riconobbe se stesso ed Aberforth a darsi la mano, si vide ad abbracciare Ariana, a darle il bacio della buonanotte, ad accarezzarle i capelli. Si rese conto di essere stato davvero un fratello terribile, per lei, ma si ripromise di cambiare.
Aprì poi il pacchetto di Aberforth. Conteneva un grosso libro dal titolo “Come vivere serenamente con una capra in casa”. Involontariamente, scoppiò a ridere e si ripromise di leggerlo al più presto. La sua risata svegliò Aberforth, steso nel letto accanto al suo, che sorrise quasi teneramente al motivo dell’ilarità del fratello.
Infine, Silente prese il regalo di Gellert, accompagnato da un bigliettino.
“Caro Albus, fino a ieri volevo regalarti un libro di incantesimi avanzati, ma lo conserverò per un’altra occasione. A presto”.
Scartando il pacchetto, Albus vi trovò dentro un grosso paio di calzini di lana.



Pochi mesi dopo, Gellert lo abbandonò.
C’era stato un conflitto, uno scontro, e Ariana era morta.
Nessuno tranne Grindelwald sapeva chi era stato l’assassino, ma lui era fuggito senza dire una parola.
In fondo, Silente era grato che quel giovane uomo, entrato nella sua vita per darle un senso e insieme rovinarla, se ne fosse andato.
L’aveva amato, è vero, ma aveva quasi perso se stesso.
Non lo rivide mai più se non decenni dopo, ormai vecchio, per scontrarsi con lui con la bacchetta in mano ed un macigno sul cuore.
Cerco di non pensare più a quell’amore perduto, a quell’amicizia ormai gettata al fuoco.
Eppure, diversi anni dopo, un ragazzino vivace e curioso lo fissò intensamente con penetranti occhi verdi e volle mettere a nudo la sua anima.
“Professore, lei cosa vede quando guarda nello specchio delle brame?” Gli chiese.
Silente sorrise. “Io? Oh, io mi vedo con in mano un grosso paio di calzini di lana”.